Nei primi anni del ‘500 a Cagliari e a Sassari nascono le prime scuole di grammatica. Inoltre il Concilio di Trento aveva stabilito che preti e frati dovessero avere una cultura più salda e approfondita.
Ma è intorno alla metà del XVI sec., in una Sardegna povera, analfabeta, ignorante, frustrata dalla dominazione catalano-spagnola, scossa dalla Controriforma tridentina, afflitta dalle scorrerie dei saraceni, avvilita dalla peste, dal colera e dalle carestie – una Sardegna che poteva sentire solo da lontano il profumo del Rinascimento italiano – è in questa Sardegna che comincia a risvegliarsi la coscienza del proprio passato e l’orgoglio di essere sardi.
In questo quadro dell’isola, dobbiamo ringraziare l’avvocato cagliaritano Sigismondo Arquer (1530-1571) per aver raccolto con forza quegli ideali scrivendo, nel 1550, per la Cosmographia Universalis di Sebastian Münster, una Sardiniæ brevis historia et descriptio in cui possiamo trovare, secondo quanto scrive Eugenio Coseriu, la prima nota socio linguistica della filologia romanza:
“Sunt autem duæ præcipuæ in ea insula linguæ, una qua utuntur in ciuitatibus, et altera qua extra ciuitates. Oppidani loquuntur ferè lingua Hispanica, Tarraconensi seu Catalana, quam didicerunt ab Hispaniis, qui plerumque magistratum in eisdem gerunt civitatibus, alii uerò genuinam retinent Sardorum linguam”
Ma è poco più tardi, quando in Sardegna cominciano a nascere i primi collegi e scuole dei Gesuiti, che l’argomento della lingua comincia a emergere in maniera più insistente. Alla fine del XVI sec. il catalano diventa lingua della politica e dell’amministrazione; il castigliano – la lingua del re – diventa lingua della cultura e della letteratura. E il sardo? Il sardo alla gente, messo da una parte.
In questa situazione, uno dei primi sostenitori della lingua sarda è certamente stato il canonico sassarese Girolamo Araolla (1542 ca – 1615 ca), il quale fonda una lingua sarda poetica, con l’intento di collocare il sardo allo stesso livello dello spagnolo e dell’italiano. É del 1597 Rimas diversas spirituales, versi scritti in sardo, italiano e spagnolo. Nella dedica di Araolla a Don Blasco di Alagon, l’autore gli presenta le poesie confidando che egli “tengiat cognitione de sa limba sarda comente tenet de sas de pius”, perché la lingua sarda è “lengua entre las otras muy hermosa/Y tiene el curso della grave inchado; bastit chi el linguaje siat bien cortado”.
Nei primi anni del 1600 i collegi dei Gesuiti di Cagliari e di Sassari vengono elevati a università e lo spagnolo diventa la lingua parlata nelle università. Non il catalano, non l’italiano e men che meno il sardo.
In quegli anni, un’altra figura di grande importanza per lo studio della lingua sarda è il sacerdote orgolese Giovanni Matteo Garipa (1580-1640). Utilizzando una varietà logudorese centrale, nel 1627, scrive il Legendariu de Santas Virgines et Martires de Iesu Christu, tradotto in sardo dall’italiano.
“Las apo voltadas in Sardu menjus, qui non in atera limba pro amore dessu vulgu […] qui non tenjan bisonju de interprete pro bilas declarare, & tambene pro esser sa limba Sarda tantu bona, quantu participat dessa Latina, qui nexuna de quantas limbas si platican est tantu parente assa Latina formale quantu sa Sarda”.
Il suo intento, con questo libretto, era quello di aiutare le ragazze di Baunei e di Triei, sue parrocchiane, a leggere e a conoscere la vita delle sante e delle vergini, exemplos admirabiles, necessarios ad ogni sorte de persones, qui pretenden salvare sas animas insoro, senza l’intermediazione di altre lingue.
Il primo studio sistematico sulla lingua sarda, però, lo dobbiamo a Matteo Madao (o Madau, Ozieri, 1723-1800). Nel lavoro Ripulimento della lingua sarda lavorato sopra la sua analogia colle due matrici lingue, la greca e la latina, Madao raccoglie oltre 120.000 parole sarde che secondo lui avevano origini greche e latine, con l’intento di dimostrare quanto la lingua sarda fosse arcaica e quanto bisogno avesse di avere un codice letterario. Nell’altro libro di grande importanza di Madao, Le armonie de’ Sardi, l’autore fa una ricerca approfondita sulla poesia e sul canto popolare in Sardegna.
Il primo studioso, però, che prova a scrivere la prima grammatica sarda è Vincenzo Raimondo Porru (Villanovafranca, 1773-1836). Infatti, nel 1811, scrive il Saggio di grammatica sul dialetto sardo meridionale e in più il Dizionariu sardu-italianu, che, a nostro parere, rappresentano la prima analisi dialettologica di una variante della lingua sarda. Al termine del sec. XVIII e all’inizio del XIX la lingua italiana si guadagna uno spazio sempre più consistente nella vita dei sardi. E Porru scrive questi lavori proprio
“per agevolare in qualche modo a’ Sardi giovanetti lo studio della Toscana favella […] dal che speriamo ridondare un non mediocre giovamento alla scolaresca gioventù”.
quindi, l’intento del Porru era quello di utilizzare il sardo per condurre i sardi alla lingua italiana.
Alcuni anni più tardi incontriamo un’altra figura di grande importanza per la lingua e la cultura sarda. Il canonico di Ploaghe Giovanni Spano (1803-1878), uomo di grande cultura, comincia a studiare la Sardegna guardandola attraverso mille lenti diverse: storia, lingua, archeologia, etnologia, glottologia e comincia a pensare a una lingua sarda nazionale, fundata sui dialetti logudoresi del capo di sopra. Nel 1840 pubblica l’Ortografia nazionale sarda, ossia gramatica della lingua logudorese paragonata all’italiano e nel 1852 il Vocabolario italiano-sardo e sardo-italiano. Spano è uno dei conoscitori più grandi delle varietà della Sardegna perché era solito andare sul campo a studiare le parlate del luogo, raccogliendo enormi quantità di materiale. Nel 1840 realizzò anche un Carta della Sardegna secondo i suoi dialetti. Tutti i lavori dello Spano sono stati per lunghi anni punti di riferimento per i dialettologi e i filologi del periodo. L’errore che ha commesso il canonico Spano fu quello di non aver utilizzato un rigoroso metodo scientifico. Andando avanti col tempo, infatti, questa cosa ha fatto perdere di valore il lavoro dello Spano, che nel giro di pochi anni fu superato dalla emergente linguistica diacronica tedesca, con un rigoroso metodo filologico, che divenne punto di riferimento per tutti gli studiosi da lì a venire.
I linguisti storico-comparativi della lingua sarda sono tutti della scuola tedesca: Friedrich Diez (1794-1876), fondatore della linguistica romanza, guidò il primo studio storico-comparativo sul sardo, la tesi scritta da Nicolaus Delius (1813-1888) e discussa a Bonn a Bonn nel 1866: “Il dialetto sardo del XIII secolo” (Der sardinische Dialekt des XIII. Jahrhunderts, Bonn: A. Marius).
Un altro lavoro di grande importanza è quello di Gustav Hofmann “La parlata logudorese e campidanese” (Die logudoresische und campidanesische Mundart, Marburg: R. Friedrich). Da questo lavoro origineranno diversi altri lavori di grande pregio, tanto che Hofmann è considerato unanimemente il progenitore dei lavori moderni di linguistica storica sarda.
Ma è con Wilhelm Meyer Lübke (1861-1936), con il lavoro “La conoscenza del logudorese antico” (Zur kenntnis des altlogudoresischen, Wien: Gerold’s Sohn, 1902), che la linguistica storico-comparativa sarda arriva al suo apice: questo romanista svizzero, grande conoscitore del latino volgare e di tutte le varietà neolatine, da valore e studia lo sviluppo dei fonemi del sardo antico.
Altri linguisti, glottologi e dialettologi importanti per la lingua sarda del sec. XX furono: Hugo Schuchardt (1842-1927), Graziadio Isaia Ascoli (1829-1907), Pier Enea Guarnerio (1854-1919), Max Leopold Wagner (1880-1962 v.), Ernst Gamillscheg (1887-1971), Gino Bottiglioni (1887-1963), Antonio Sanna (1918-1981), Massimo Pittau (1921-2019 v.) e Eduardo Blasco Ferrer (1956-2017 v.). Per non far torto a nessuno, abbiamo scelto di non prendere in esame gli studiosi ancora in vita.