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l momento della caduta dell’Impero Romano d’Occidente, nel 476 d.C., la Sardegna si trovava nelle mani dei Vandali di Genserico, che avevano occupato l’isola dal 456 al 534. Il 13 aprile di quello stesso anno l’Imperatore Giustiniano dichiara la Sardegna provincia della Prefettura d’Africa. Da quel momento – e per trecento anni – la Sardegna rimase Provincia dell’Impero bizantino.
E in tutto questo arco di tempo che lingua si parlava? E quale lingua veniva utilizzata nella scrittura?
C’è una grande questione sull’origine del Sardo medievale.
Roma ha lasciato alla storia un’isola di cultura e di lingua latina. I Vandali, in 80 anni, hanno fatto in tempo a lasciare ben poche tracce, ma al contrario, la cultura greco-bizantina ha fatto in tempo a lasciare un forte marchio.
Il sardo che conosciamo (come l’italiano e le altre lingue neolatine o romanze) è una lingua che discende dal Latino volgare. Le lingue neolatine cominciano a formarsi in Europa dal VI secolo e fino al sec. IX/X, quando cominciano ad emergere i primi documenti scritti nei volgari neolatini.
Gli studiosi continuano a discutere sull’utilizzo della lingua nella Sardegna bizantina: alcuni sostengono che la pressione della lingua greco-bizantina abbia fatto lentamente dimenticare il latino e i sardi abbiano continuato a utilizzare la lingua parlata senza scrivere documenti di rilievo fino al sec. XI, quando ricominciarono ad avere i contatti con l’Occidente latino europeo. Altri sostengono che sia impossibile che in tutti quegli anni nessuno abbia lasciato scritto niente o quasi niente: difatti, secondo questa seconda teoria, la Sardegna bizantina ha vissuto in una condizione di trilinguismo e di triglossia: nell’isola convivevano il latino, il greco e il volgare sardo. Le lingue più “alte” erano il greco e il latino, ed erano in concorrenza l’una con l’altra. Ma il volgare sardo era la lingua compresa e parlata da tutti, e l’ipotesi è che:
“Il progressivo avanzamento sociale di una classe dirigente locale, in parte mista, e la sua progressiva integrazione nel sistema amministrativo, militare e politico bizantino dovrebbe aver comportato la progressiva elaborazione […] di una lingua di tale classe ai fini delle nuove funzioni. Si lascia supporre dunque una fase in cui il sardo avrebbe progressivamente affiancato il greco e il latino negli usi alti, a mano a mano espandendo il proprio spettro funzionale, fino ad elaborare una varietà alta idonea alle funzioni che poi in effetti assolse. In tal senso, il sardo potrebbe aver occupato lo spazio funzionale progressivamente lasciato libero dal greco”.1
Ciò che è certo, però, è che 1) la lingua volgare sarda scritta emerge all’improvviso – dopo cinque secoli di silenzio (VI-X sec.) – già formata e utilizzata in documenti formali; 2) emerge insieme con le sotto-regioni governate dai Giudici; 3) sono il latino e il greco che si adattano alla lingua volgare sarda, e non il contrario.
In più abbiamo parecchi documenti (p.e. le Cartas bulladas emanate dai Giudici) che hanno una variante scrittoria assai prossima a quella dei monaci benedettini. In quegli anni, difatti, parecchi ordini (Benedettini di Montecassino, Vittorini di Marsiglia, Camaldolesi, Vallombrosani, Cistercensi, ecc.) ricevettero in dono dai Giudici una gran quantità di monasteri, terreni, rii, boschi, pascoli, terreni a maggese, ademprivi, vigne, servi e animali per convincerli a venire in Sardegna. Un’altra ipotesi, dunque, che si aggiunge alle altre, è che le persone che erano in grado di scrivere il volgare sardo del tempo, fossero scrivani e cancellieri addestrati dai monaci nell’arte della scrittura, che ri-scrivevano ciò che ascoltavano in un volgare sardo attagliato sulla cultura dei monaci cassinesi.
La lingua sarda si forma circa 300 anni prima della lingua italiana: una delle prime lingue neolatine d’Europa. E anche in Sardegna, come succede in tutto il mondo neolatino, l’utilizzo della lingua volgare deriva dalla necessità di scrivere atti e documenti che servivano alla cultura e alla pratica giuridica.
Intorno all’anno mille, al termine della dominazione bizantina, vediamo che in Sardegna nascono alcuni stati sovrani: il più antico era il Giudicato di Caralis. I documenti della sua amministrazione sono, per la storiografia ufficiale, gli scritti più antichi conosciuti finora.
Certo: non erano scritti artistici, né letterari. Ma li prendiamo ad esempio perché sono gli scritti più antichi in volgare sardo e danno un’immagine chiara e nitida di ciò che era la lingua scritta del tempo:
In volgare campidanese, o del capo di sotto:
- le Cartas bulladas del Giudice Orzocco-Torchitorio (1066-1074 circa),
- la Carta a grafia greca custodita nell’Archivio di Marsiglia (1089),
- le due Carte d’acquisizione patrimoniale del Vescovo di Suelli, Paolo (1190-1200 ca.),
- la Carta del priore Raimondo di San Saturno (1190-1206),
- il Trattato di pace tra Guglielmo-Salusio IV di Cagliari e Ugo I de Bas-Serra di Arborea (1206),
- la Carta del Giudice Guglielmo-Salusio (1211),
- la Carta del Vescovo Torchitorio di Suelli (1215),
- la Carta di Benedetta de Lacon (1225)
In volgare arborense, o di mezzo:
- la Carta di permuta tra Torbeno e Costantino d’Orrubu (1102),
- la Carta di renovatio donatzionis di Orzocco de Zori (1112-20),
- il Condaghe di Santa Maria de Bonàrcado (1120/30-1146),
- la Carta di donazione di Barisone di Arborea (1184),
- la Carta di donazione di Pietro di Arborea (1228),
- la Carta de Logu di Eleonora d’Arborea (1355-1376)
In volgare logudorese, o del capo di sopra:
- la Carta di Nicita (1065)
- il Condaghe di San Pietro di Silki (1073-1180),
- il Condaghe di San Nicola di Trullas (1113-1140),
- il Condaghe di San Michele de Salvennor (1000-1100),
- la Carta di donazione di Furatu de Gitil (1122),
- il Condaghe di San Leonardo de Bosove (1120-1173),
- la Carta di donazione di Costantino de Athen (1136),
- la Carta di revoca tributaria a favore di Montecassino (1170),
- la Carta compromesso fra l’Operaio di Pisa e il Vescovo di Civita (1173),
- gli Statuti di Sassari (1272),
- gli Statuti di Castelgenovese (1334-36)
I Condaghes
I
Condaghes meritano un paragrafo a sé, in quanto rivestono un importo enorme per tutta la storia, la sociologia e la lingua sarda. Prendono il nome dal greco-bizantino Kontakion, il bastoncino attorno al quale si arrotolavano le pergamene. Col tempo questo nome ha cominciato ad indicare gli atti giuridici e amministrativi con compravendite, permute, sentenze, ammonimenti che i frati di molti conventi della Sardegna registravano nei loro registri. Questi documenti ci permettono di aprire una grande finestra sulla Sardegna giudicale e ci aiutano a comprendere la vita economica e sociale della Sardegna fino al sec. XVI e inoltre sono di grande importanza per la conoscenza dell’origine della lingua sarda.
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